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presenza dei valdesi a pinerolo da metà ottocento ad oggi


 VALDESI E SOCIETA’ PINEROLESE 

TRA OTTOCENTO E NOVECENTO -  TERZA PARTE

(di Gianni LONG - diritti riservati)

 

 

 

Cattolici e valdesi a Pinerolo[1] 

 

La diocesi di Pinerolo fu fondata nel 1748 con il duplice scopo di mantenere l’identità cattolica del pinerolese e di far balenare la verità della fede cattolica agli eretici delle valli, come scriveva papa Benedetto XIV[2]; in ogni caso la vita di questa diocesi è sempre stata condizionata dal fatto di essere il territorio italiano con una più forte presenza percentuale di “acattolici”.

Nei primi decenni, questo compito fu perseguito con decisione, nonostante qualche episodio di “cortesia ecumenica”. Nell’epoca napoleonica si verificò un rovesciamento delle sorti, con l’assegnazione ai valdesi dei beni prima cattolici. E fu la diocesi di Pinerolo a svolgere in quel periodo il compito che prima e dopo è toccato alla Tavola valdese, presentando ricorsi, suppliche e cercando fondi alternativi per le parrocchie. La restaurazione riportò il vecchio stato di cose e in particolare durante l’episcopato di Andrea Charvaz, la diocesi fu attentissima nel rivendicare i propri diritti e nel far osservare le limitazioni stabilite dalle leggi sui valdesi. Charvaz era una figura di primo piano, non solo a livello locale: era un uomo colto ed intelligente. I suoi libri sui valdesi, pur redatti in uno spirito di polemica, contengono intuizioni storiche esatte. Ma certo si riteneva posto da Dio e dalla sua Chiesa (quella cattolica, ovviamente) come cane da guardia per rintuzzare ogni tentativo dei valdesi per mettere il naso fuori dal loro ghetto. Tra il 1834 e il 1848, gli anni dell’episcopato di Charvaz, fu tra l’altro rilanciato il già esistente Ospizio dei catecumeni, destinato ai bambini valdesi sottratti alle loro famiglie per essere educati cattolicamente.

Il 1848 segnò quindi per i valdesi di Pinerolo e delle Valli una duplice liberazione: il 17 febbraio Carlo Alberto emanò le Patenti di grazia; il 9 maggio Andrea Charvaz lasciò la diocesi di Pinerolo. Non mancò di perseguire la sua lotta antivaldese anche altrove. E’ nota la vicenda di Genova: i valdesi acquistarono una chiesa cattolica sconsacrata (la Madre di Dio) per farne il proprio tempio. Ma la reazione dell’arcivescovo di Genova Charvaz fu tale che il governo Cavour, tramite il deputato e membro della Tavola Giuseppe Malan, chiese ai valdesi di non creare troppi problemi. La Tavola rinunciò all’ex chiesa cattolica e costruì un tempio nuovo in una zona più periferica. Ciò costò la scissione della “chiesa italiana”, cioè degli esuli da altri stati italiani che a Torino erano entrati nella Chiesa valdese: Essi costituirono la “Chiesa libera” e l’evangelizzazione d’Italia partì clamorosamente con il piede sbagliato: due chiese in dissenso tra di loro. Charvaz aveva vinto; ma non gli bastava. E quando il tempio “nuovo” di Genova fu aperto, il giornale genovese Il cattolico uscì listato a lutto!

Tutti questi avvenimenti sono all’incirca coevi della costruzione del tempio di Pinerolo. Non c’è da stupirsi che buona parte del clero e dei cattolici pinerolesi seguissero la linea di quello che era stato il loro vescovo per quattordici anni. Ma il vescovo successore di Charvaz aveva una posizione molto diversa. Lorenzo Guglielmo Maria Renaldi, vescovo dal 1849 al 1873, era stato uno dei 65 ecclesiastici che avevano sottoscritto la petizione di Roberto d’Azeglio per la concessione dei diritti civili ai valdesi; non solo, ma quando alcuni di essi, successivamente, ritirarono la propria firma, perché ai valdesi si stava concedendo troppo, egli rifiutò di farlo. Durante il suo lungo ministero episcopale a Pinerolo, non si ha notizia di episodi di intolleranza nella diocesi. Anzi, si verificano episodi di “buon vicinato”, come la partecipazione di parroci cattolici delle Valli ai banchetti organizzati dai valdesi per il 17 febbraio: un fatto che diverrà impensabile per molto tempo, fino a ritornare in auge solo alla fine del Novecento. E’ per questo motivo, oltre che per la mancanza di ogni documento in merito, che mi sembra improbabile che pressioni contro la costruzione del tempio valdese a Pinerolese siano venute dal vescovo Renaldi. Esse venivano semmai da più lontano: Torino, sede del giornale L’Armonia, e forse anch dalle sponde del mar Ligure…

È solo con la fine del ministero di Renaldi e l’arrivo del suo successore Vassarotti, che a Pinerolo e dintorni si registrano episodi di scontro confessionale. Una scuola cattolica viene aperta nelle immediate vicinanze del tempio per evitare che alunni cattolici vadano a quella valdese. Per inciso, la stessa situazione si verifica a San Secondo, dove addirittura le allieve della scuola femminile cattolica devono attraversare la scuola valdese per entrare e uscire.

La relazione della chiesa di Pinerolo del 1873-74, proprio in coincidenza con il cambio del vescovo lamenta che il funerale a Bricherasio della figlia dell’anziano della Gioietta provoca tumulti, tanto più sgradevoli nei confronti di una famiglia che ha appena perso una bambina. A Macello nello stesso anno il funerale di una valdese si svolge sotto la protezione della forza pubblica; e il parroco, appena terminato il funerale, si reca a sconsacrare il pezzo di terra in cui la salma era stata seppellita. È chiaramente cambiato il clima; ed episodi del genere si verificano sino a Novecento inoltrato. Se ne accorgono anche le autorità comunali che, come già ricordato, nel 1876 impediscono al vescovo Vassarotti di benedire il nuovo cimitero di Pinerolo.

Sino agli anni ’60 del Novecento non si verificano grandi cambiamenti nel rapporto tra cattolici e valdesi a Pinerolo e dintorni. Certo, le singole personalità di vescovi, preti e pastori influiscono molto per migliorare o peggiorare la situazione. Per esempio, è da ricordare il canonico G.B. Ottonello, che negli anni ’30 pubblicò un libro sui valdesi, nel vecchio stile della controversia, ma rispettoso delle ragioni degli altri. E’ da ricordare che dopo il 1929 il fascismo impose numerose vessazioni ai valdesi (due esempi: la soppressione del francese nell’uso liturgico e giornalistico e l’imposizione del crocifisso nelle aule delle superstiti scuole valdesi); e che nel dopoguerra anche Pinerolo vide roventi dibattiti su quello che sarebbe diventato l’art. 7 della Costituzione repubblicana. Il nuovo pastore Ermanno Rostan, che era anche direttore dell’Eco delle Valli valdesi intraprese una serie di iniziative sul tema, che ebbero puntuale risposta da parte cattolica.

Ma per tutti i primi 60-70 anni del Novecento si può dire che un rapporto vero e proprio tra cattolici e valdesi non esiste, anche se i rispettivi membri vivono per tutto il resto fianco a fianco:  le due comunità esistono felicemente ignorandosi. Un esempio tragico, ma significativo: il vescovo Binaschi durante gli anni della Resistenza insiste presso i comandi tedeschi e fascisti, da una parte, partigiani, dall’altra, perché alle persone condannate a morte, anche sommariamente, non siano negati i conforti religiosi. E dispone che, qualora il condannato sia “di religione valdese ”, ne venga informato il pastore. E’ un gesto di apprezzabile cortesia, evidentemente. Ma è possibile che due chiese cristiane, che si trovano a vivere la stessa immane tragedia, non riescano a dire qualche cosa insieme e ciascuna si limiti a pensare ai propri morti e morituri?

Il cambiamento si verifica negli anni del Concilio. Ma è un cambiamento lento, che passa prima per gli specialisti e i centri di studio e solo dopo molto tempo arriverà a toccare le comunità. Nel luglio 1965 si svolge ad Agape un campo ecumenico sul tema Processo alla libertà religiosa. Una delegazione del Segretariato diocesano pinerolese per l’unione dei cristiani presenta un documento, in cui spicca questa affermazione: “Nel riconoscere umilmente la parte di torto dei nostri padri che hanno abusato del nome cattolico, rendiamo ragione e grazie ai fratelli valdesi che hanno sofferto persecuzioni per affermare il principio della libertà religiosa, che è un bene di tutti”[3].  

All’epoca di questa dichiarazione era ancora vescovo di Pinerolo Binaschi, a cui si debbono le prime prese di posizione ecumeniche “titubanti, ma sincere”, come scrive Mercol. Il vescovo Binaschi, in 36 anni (il più lungo ministero episcopale a Pinerolo), ha visto tutte le stagioni del rapporto con i valdesi.

Ma non si può dire che i valdesi all’epoca fossero molto interessati all’ecumenismo. Esisteva una commissione di studio sul cattolicesimo, istituita sul piano nazionale per seguire il Concilio Vaticano II. Dagli archivi della chiesa di Pinerolo risulta che nel febbraio 1965 ci furono tentativi per stabilire rapporti con i cattolici in occasione della Settimana di preghiera per l’unità. Ma da una lettera del segretario della commissione, Paolo Ricca (allora pastore a Forano Sabino) risulta che solo pochissime comunità valdesi hanno risposto all’iniziativa. All’inizio del 1966 viene anche soppresso il bollettino di informazioni e analisi, che la commissione stessa produceva. La Tavola, nella sua circolare, parla di ragioni economiche  ed auspica che quelle informazioni possano essere diffuse attraverso la stampa evangelica. Ma certo il rapporto con il cattolicesimo non è in cima all’interesse dei valdesi… In quello stesso 1966 a San Germano si tiene un incontro delle Unioni giovanili valdesi, in cui il pastore Sonelli parla dei matrimoni misti “alkla luce dell’attuale offensiva ecumenica della Chiesa romana”. E’ probabilmente la prima volta che si parla in ambito valdese di matrimoni interconfessionali senza esorcizzarli. Ancora pochi anni prima il Sinodo definiva il matrimonio misto (celebrato in chiesa cattolica) un “oggettivo rinnegamento della fede”.

Ma torniamo alle vicende della diocesi di Pinerolo. Dopo aver brevemente affiancato Binaschi, nel 1966 diviene vescovo di Pinerolo Santo Quadri. Egli promulga nel 1970 il Direttorio ecumenico per la diocesi di Pinerolo[4], in cui tra l’altro si abbandona la tradizionale posizione del “ritorno” dei valdesi al cattolicesimo, che aveva ispirato per due secoli l’azione dei suoi predecessori; si riconosce la validità del battesimo valdese; si definisce in modo nuovo la questione dei matrimoni misti. Avvalendosi delle facoltà concesse dal diritto canonico allora vigente per le “diocesi di frontiera”, veniva previsto che il matrimonio misto interconfessionale potesse essere celebrato, con dispensa del vescovo, oltre che nella chiesa cattolica, anche presso l’altra confessione (il tempio valdese). In quel momento di entusiasmo ecumenico, si verificarono da qualche parte anche casi di concelebrazione del matrimonio, per la verità non previsti né dalla normativa cattolica né da quella valdese (nel 1971 il Sinodo approvò il Documento sul matrimonio).

Di fronte al rischio di confusioni – e rifiutando comunque il principio che il vescovo cattolico sia dominus del matrimonio misto – l’Assemblea della chiesa di Pinerolo approvò nel 1973 un documento di grande importanza. Si escludeva la concelebrazione eucaristica da parte di ministri di diverse confessioni; si dichiarava non lecito rifiutare la S. Cena celebrata nella nostra comunità a chiunque si senta di parteciparvi; si stabiliva che nella chiesa di Pinerolo non sarebbero stati celebrati matrimoni con dispensa. La decisione sulla Santa Cena “aperta” era storica, perché significava abbandonare l’istituto della scomunica, ancora usata nella chiesa di Pinerolo qualche decennio prima; in pratica, dato che i cattolici “ufficiali” non partecipano alla celebrazione eucaristica di altre chiese, a Pinerolo ha significato un’apertura alla Comunità di base, che infatti spesso ha partecipato alla santa Cena valdese.

Questa posizione, pur teologicamente di avanguardia[5], corrispondeva ad una posizione diffusa nell’insieme della chiesa valdese dell’epoca: la tendenza a privilegiare il dialogo con il cattolicesimo “dissidente”, piuttosto che con quello “ufficiale”.

Più drastica era la decisione di non celebrare matrimoni con dispensa. Essa infatti non fu condivisa da altre comunità valdesi, anche vicine a Pinerolo, e ci fu qualche “migrazione” di valdesi di Pinerolo ce andarono a celebrare questo tipo di matrimonio altrove. A Pinerolo la decisione fu comunque mantenuta sino al 1997, quando intervenne l’accordo nazionale, di cui si dirà tra breve.

Ma il Direttorio ecumenico non fu contestato solo dai valdesi di Pinerolo nella parte sui matrimoni misti. Secondo una valutazione cattolica, “il Direttorio “era un documento nato in un momento di crisi, durante la contestazione. Anche le strutture pastorali ecclesiastiche della Chiesa di Pinerolo erano fortemente contestate. Così pure l’ecumenismo andò in crisi”[6].

Da questa crisi nacque, tra l’altro, la Comunità di base di Pinerolo, costituitasi proprio nel dicembre 1973. Nel proprio sito, la comunità descrive così il rapporto con i valdesi[7]: “Il contesto locale in cui ci troviamo registra la significativa presenza della chiesa evangelica valdese con cui la comunità ha sempre realizzato un dialogo schietto e fecondo, dando vita anche a             numerosi momenti di studio e di dibattito aperti alla città. Del resto la dimensione ecumenica è costitutiva della comunità, anche perché attualmente ne fanno parte anche alcuni fratelli e sorelle valdesi”. 

Il rapporto tra chiesa valdese di Pinerolo e comunità di base è rimasto stabile in tutti questi anni. Nel lungo periodo in cui furono scarsi i contatti ecumenici con la chiesa cattolica “ufficiale”, si trattò in pratica dell’unica relazione ecumenica[8]; ma anche dopo l’apertura della fine degli anni ’90, i rapporti sono rimasti ottimi. A varie riprese la chiesa valdese di Pinerolo prende posizione a favore della comunità e di don Barbero, fondatore e guida della comunità stessa nei periodici conflitti con il cattolicesimo ufficiale. Si può notare una differenza di toni: nel 1986-87 la minaccia di scomuniche provocò, secondo la relazione annua, “il noto scambio di lettere con i cattolici della diocesi, una viva partecipazione di solidarietà per don Franco Barbero e la comunità di base”. Nel 2003, di fronte all’adozione del temuto provvedimento, il Concistoro di Pinerolo rese pubblica “la posizione critica nei confronti dell’istituzione ecclesiastica e di solidarietà con don Barbero”, pur sottolineando le divergenze teologiche con Barbero stesso e il fatto che il provvedimento provenisse da Roma (dalla Congregazione dell’allora cardinale Ratzinger) e fosse stato solamente trasmesso dal vescovo locale. Nel nuovo secolo la chiesa valdese di Pinerolo ha una doppia relazione ecumenica: con il cattolicesimo ufficiale e con quello di base.

Ma ritorniamo ai primi anni ‘70. Dopo il breve episcopato di Massimo Giustetti, nel 1976 giunge a Pinerolo il nuovo vescovo Pietro Giachetti. E’ con il suo arrivo che l’ecumenismo pinerolese, almeno da parte cattolica, imbocca una strada nuova. Giachetti non si era molto occupato di ecumenismo prima di arrivare a Pinerolo, era considerato un esperto di pastorale del lavoro. La situazione dell’ecumenismo a Pinerolo al momento del suo arrivo fu così descritta da lui stesso più tardi: “Ho trovato qui, nel momento del mio arrivo, una situazione di freddezza; nella Chiesa Cattolica c’erano delle “punte avanzate” in campo ecumenico, ma erano osteggiate da una parte considerevole sia del clero sia dei laici, che vedevano con sospetto queste “punte” chiamiamole “avanzate”. Io ho cominciato a dialogare con loro, e ho visto che stavano facendo un cammino che doveva essere sostenuto dal vescovo, soprattutto per quello che riguardava due campi che io ho    cercato di aiutare il più possibile: quello dei matrimoni misti e quello della lettura della Parola di Dio, fatta nei gruppi che allora, nel momento in cui io ero arrivato, si chiamavano “collettivi  biblici”. Le idee conciliari sull’ecumenismo stentavano a penetrare e non erano prese sul serio. C’erano delle mentalità inveterate, difficili da scalfire. Vedevo che anche nella Chiesa Valdese c’erano delle posizioni di notevole diffidenza”[9].  

Tuttavia, conscio dell’importanza dell’ecumenismo nella diocesi pinerolese, si mise a frequentare gli ambienti ecumenici: dai convegni del SAE alla Commissione per l’ecumenismo della Conferenza episcopale italiana. Al SAE trovò vari valdesi da tempo impegnati nell’ecumenismo, tra cui la pinerolese Marcella Gay. Quest’ultima era stata già nel 1975 l’animatrice, insieme a don Mario Polastro, di un collettivo biblico ecumenico che ebbe alterne vicende e, per molto tempo, scarsa frequentazione. Se si considera l’attività di Cesare Gay verso il cattolicesimo “dissidente” nella prima metà del Novecento, e quella di sua figlia Marcella nella seconda metà, si può dire che l’ecumenismo a Pinerolo è stato per molto tempo un “affare di famiglia”.

Quanto alle coppie miste, la relativa organizzazione nacque nel 1969, seguendo l’esempio dei  foyers mixtes franco-svizzeri, per iniziativa di Myriam e Gianni Marcheselli. A partire dall’incontro di Bobbio Pellice del 1970, si sviluppò una intensa attività, per lo più alle Valli valdesi, che coinvolse diverse coppie pinerolesi. Fu proprio il tema dei matrimoni interconfessionali (e la costante pressione di questi gruppi sulle rispettive chiese) a portare, anni dopo, al primo dialogo ufficiale tra valdesi (e metodisti) italiani e chiesa cattolica.

Nel 1981 il vescovo Giachetti pubblicò il documento Matrimoni interconfessionali: indicazioni pastorali. Tra le sue molte iniziative,  prese anche frequentare, da privato senza invito ufficiale, il culto di apertura del Sinodo a Torre Pellice. Queste iniziative non riscossero all’inizio molto successo tra i valdesi. Al Sinodo la sua era considerata una simpatica presenza, gradita ai più, ma “ufficialmente ignorato da tutti, anzi, suscitando in alcuni sentimenti di diffidenza e perplessità, attribuendogli una volontà di penetrazione e di conquista”[10]. Per altro verso, la chiesa di Pinerolo mantenne a lungo la sua posizione, contraria ai matrimoni con dispensa.

[3 - continua]

 

Note: 

[1] Utilizzo ampiamente per questo paragrafo la raccolta di Studi, ricerche, documenti sulla Chiesa e sul cattolicesimo pinerolese - Quaderni curati dall’Archivio della Diocesi di Pinerolo, tra i quali segnalo in particolare: Andrea Charvaz (1995), La diocesi di Pinerolo e l’ecumenismo (1996), Nel Pinerolese un cammino di otto secoli verso traguardi ecumenici (2002), Matrimoni misti interconfessionali (2005), Pietro Giachetti (2009).

[2] G. MERCOL, Nel Pinerolese un cammino di otto secoli verso traguardi ecumenici, cit., p. 13.

[3] G. MERCOL, op. cit., p. 24.

[4] Sul vescovo Quadri vedi l’ampio profilo pubblicato, in occasione della sua morte, dalla Rivista diocesana pinerolese, n. 4/2008, p. 57 ss.

[5] Oggi quasi tutte le chiese protestanti “storiche” praticano la Santa Cena “aperta”. Rinvio a G. LONG, Ordinamenti giuridici delle chiese protestanti, Bologna, Il mulino, 2008, p. 11 ss. e a E. GENRE, Gesù ti invita a cena. L’ospitalità è ecumenica, Torino, Claudiana 2007.

[6] D. AIGOTTI, Maestro di ecumenismo , cit., p. 7.

[7] Sito Associazione Viottoli-Comunità cristiana di base di Pinerolo, www.viottoli.it

[8] Questa situazione fu percepita da parte del cattolicesimo pinerolese: V.MORERO, Pinerolo a memoria, cit., p. 219, parla di “una particolare attenzione di pastori valdesi alla parrocchia di san Lazzaro e alla Comunità di base di don Barbero”.

[9] ibidem

[10] A. TACCIA, La diocesi di Pinerolo sulla frontiera dell’ecumenismo, in Omaggio a mons. Pietro Giachetti, Vescovo emerito di Pinerolo, nel 40° del decreto conciliare Unitatis Reintegratio, Numero speciale della Rivista Diocesana Pinerolese, Pinerolo 2005, p.51. La diffidenza dei valdesi, non verso Giachetti, ma verso le possibili interpretazioni della sua presenza non era però infondata. Come ricordava Bruno Rostagno su Riforma, 19 settembre 1997, un giornale nazionale titolò una volta così la notizia sul Sinodo: “Si apre, alla presenza del vescovo di Pinerolo, il Sinodo valdese”!